L’eolico ad alta quota

Una delle idee su cui l’innovazione sta cercando di individuare delle soluzioni soddisfacenti riguarda lo sfruttamento dell’energia eolica ad alta quota. Questo perché in alta quota, come risaputo, i venti sono molto più forti che vicino alla superficie terrestre e quindi a grandi altezze presentano dei potenziali molto più elevati per accumulare energia pulita.

La fascia in cui le correnti del vento sarebbero davvero di gran lunga superiori a quelle “di terra” è quella della troposfera, ad oltre 10 km di altezza dal suolo. È qui che si scatenano i fenomeni meteorologici ed è qui che i venti fanno, letteralmente, il bello e il cattivo tempo, restando in ogni caso sempre costanti e continue (si tratta delle cosiddette jet stream).

Le iniziative si stanno susseguendo in modo indipendente negli ultimi tempi, dando luogo a soluzioni anche molto diverse tra loro, sebbene non ancora capaci di arrivare così in alto nel cielo. Il settore è appena allo stadio iniziale della sua evoluzione, per cui non si è ancora giunti a dei veri e propri standard universali e c’è ancora largo spazio per la sperimentazione. Evidenziamo qui alcuni dei casi più interessanti.

L’americana Job Energy sta testando un impianto eolico che ha chiamato Airborne e che dovrebbe riuscire a produrre energia dal vento di alta quota tramite un meccanismo di ventole collegate da resistentissime fibre, in grado di restare in alta quota (1km di altezza) per anni senza particolari manutenzioni. L’immagine accanto rende chiaramente l’idea di quello che è il prototipo, attualmente dotato di turbina da 30kW e collegato a terra con una serie di cavi che, allo stesso tempo, lo ancorano e trasmettono l’energia elettrica accumulata. È previsto anche il lancio di un secondo prototipo più potente (100kW) e, qualora si dovessero superare tutti i test di sicurezza, in un biennio si potrebbe cominciare a lanciare Airborne sul mercato. I problemi che devono essere ancora affrontati riguardano proprio le difficoltà tecniche da superare per garantire all’impianto la massima sicurezza.

Una soluzione italiana è quella del Kite Gen (seconda immagine), una serie di “aquiloni” che girano in cerchio a 500 metri di altezza producendo energia.

Tuttavia si è ancora lontani dal riuscire a sfruttare le jet stream, che presenterebbero potenzialità davvero enormi. Uno studio del 2009 (Archer/Caldeira) ci dice infatti che da queste correnti si potrebbe ricavare fino a cento volte il fabbisogno energetico mondiale.

Altri studi (Max Planck Institute), però, sono di opinione diversa e sostengono che sfruttare le jet stream potrebbe dare meno energia di quanto stimato (duecento volte minore delle stime precedenti) e soprattutto porterebbe a danneggiare il clima terrestre alterando il normale fluire delle grandi correnti ventose, con conseguenze intollerabili per l’uomo: alterazioni anche di venti gradi nella troposfera e sostanziali anche al suolo, come diminuzioni delle temperature medie di 9 °C e incremento dei ghiacci anche del 200%. In ogni caso, quindi, prima di investire in tecnologie capaci di “volare” in troposfera, sarà indispensabile valutare con certezza tutte le possibili controindicazioni.